Continuano i lavori per trasformare uno spazio “cucina” in una piattaforma in grado di convergere al suo interno professionalità e interessi per generare nuovi modelli di convivenza sociale che passino, anche, dalla ridefinizione di nuovi modelli di business
È strano ascoltare testimonianze che parlano di esperienze vissute 30 anni fa dove, in ambienti di ricerca, si poteva palpare con mano cosa significava aprire una porta con un comando della voce o passare da acqua calda a fredda con il movimento degli occhi.
È strano, perché oggi, a 30 anni di distanza, se si chiede a qualcuno di immaginare simili soluzioni di autonomia, questo qualcuno rimane a bocca aperta, sbalordito e affascinato. E ciò rivela come l’investimento, non solo economico, in questa direzione, sia stato pressoché minimo.
A Taranto, in una città comunemente conosciuta come un posto morto, spento e desolato, vogliamo invece creare una realtà all’avanguardia, e ci stiamo riuscendo.
Stiamo trasformando un ambiente domestico in uno spazio di sperimentazione dove la ricerca delle tecnologie più all’avanguardia si combina con quella di nuove forme dell’abitare (quello che molti chiamano co-housing, per intenderci). Ed ecco che la soluzione si intravede: un mini appartamento interamente “domoticizzato” dove ingegneri, studenti di psicologia, ragazzi con disabilità, possono frequentare o vivere a tutti gli effetti un’esperienza di condivisione e ricerca finalizzata allo sviluppo di soluzioni altamente tecnologiche e umane allo stesso tempo.